TAVROT – LA VITA AL BIVIO: TRA FENOMENO ARTIFICIALE ED ESSERE PERSONA
di Antonio Urzì Brancati
La formulazione del titolo sembra suggerire già una conclusione. Sembra proprio che la cosiddetta manipolazione genetica, gli interventi sugli embrioni umani, portino inevitabilmente alla costruzione artificiale dell’uomo e che, da detta costruzione artificiale, l’uomo che ne deriva sia in parte o del tutto privo della essenza peculiare dell’Essere persona. A mio avviso entrambe le enunciazioni sono fondamentalmente errate e non possono essere accolte senza porre in pericolo la validità della ricerca scientifica e senza dare la giusta importanza a tutti gli altri elementi che, nel loro insieme, formano la personalità dell’individuo.
A mio avviso è errato sostenere che la manipolazione genetica snatura l’essere umano dal momento che la manipolazione limita il suo intervento su componenti già esistenti in natura. Perchè si abbia un embrione occorre innanzitutto che si incontrino o si facciano incontrare lo spermatozoo con l’ovulo; sia l’uno che l’altro sono generati dall’uomo, non possono ricavarsi per sintesi e ciò è fondamentale per il nostro giudizio definitivo. Negare che la scienza medica possa intervenire, attraverso manipolazioni assistite da studi e sperimentazioni frutto della intelligenza e della volontà dell’uomo, significa rinnegare quanto l’uomo ha già ottenuto per dare a se stesso una migliore conformazione ed una maggiore resistenza alle cause esterne di aggressione dell’integrità fisica e della salute. E’ sotto gli occhi di tutti il notevole progresso compiuto dal genere umano specie da quando la ricerca scientifica è uscita dall’ambito dell’iniziativa individuale per divenire compito e funzione controllata ed assistita dall’intero gruppo sociale. Non vi è dubbio che, oggi, non possono più trovare spazio esperimenti di singoli individui che agiscono per vanità e senza alcun controllo.
Oggi la ricerca scientifica deve essere controllata e deve essere indirizzata al bene ed allo sviluppo dell’umanità. A ciò servono gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico, controllati dai comitati di bioetica, Istituti e comitati che agiscono sotto il controllo dello stato e le cui funzioni, competenze, attività sono regolamentate per legge. In entrambe le istituzioni agiscono scienziati, la cui selezione dovrebbe già dare garanzia di serietà e competenza, e soggetti dotati di sperimentata competenza in campo etico. Lasciamoli lavorare in pace; evitiamo interventi da tuttologi presuntuosi convinti di poter dare il proprio contributo anche in materie che per la loro complessità e per la loro importanza devono essere necessariamente delegate ad addetti ai lavori. Non ci affanniamo in previsioni catastrofiche prima ancora di aver conosciuto l’esito delle ricerche. Dobbiamo avere la certezza che coloro che conducono i lavori, gli esperimenti sull’embrione umano, hanno come unico fine, come unico obiettivo il miglioramento del genere umano, il miglioramento della qualità della vita dell’individuo. Sappiamo già che gli interventi oggi possibili sono diretti ad evitare malformazioni o malattie ereditarie. Sappiamo che oggi non è possibile intervenire sul carattere, sulla personalità dell’individuo. Io, personalmente, ritengo che il carattere, la personalità non sono solo frutto del patrimonio genetico ma si formano durante la crescita, risentono delle condizioni ambientali, del sistema di educazione, degli eventi cui si assiste e dei quali si è protagonisti. Se un giorno sarà possibile intervenire geneticamente anche al fine di modificare il carattere, la personalità dell’individuo, sono certo che sarà fatto allo scopo di migliorare le condizioni di vita e non di peggiorarle e sono anche certo che se uno Stato, una qualsiasi comunità, cercasse di sfruttare le conoscenze scientifiche a scopi diversi da quelli che ho enunciato e pericolosi per l’umanità, il resto dell’umanità interverrebbe così come oggi interviene con il controllo sull’energia nucleare e su tutto quanto può essere pericoloso per l’umanità. Non possiamo, per paura che un pazzo o una nazione governata da pazzi, possa utilizzare le scoperte scientifiche per imporre un proprio primato, fermare la ricerca scientifica, fermare il progresso, fermare la speranza di una vita sempre migliore. Se oggi la vita media dell’uomo arriva ad oltre settant’anni ed è sempre più normale arrivare al limite della vita in buone condizioni di salute lo si deve alla tenacia, all’intelligenza di coloro che chiusi nei loro laboratori si dedicano a questo scopo. Noi, che in quei laboratori non possiamo, anzi non dobbiamo entrare, cerchiamo di fare la nostra parte di padri di famiglia, di educatori. Accogliamo questo prodotto, sempre migliore, che ci viene affidato dagli scienziati, e, abbandonando gli egoismi ed i tornaconti, dedichiamoci a far si che la fatica degli scienziati non venga vanificata dalla nostra incapacità, dalla nostra indolenza o peggio, dal nostro tornaconto. Inculchiamo in quel patrimonio genetico che viene affidato alla nostra educazione principi sani quali quello dell’amore, della tolleranza, del dovere, della solidarietà. Ognuno faccia il proprio dovere, ognuno segua e rispetti le regole che spontaneamente ci siamo imposti per vivere insieme belli e brutti, sani e malati, forti e deboli, sperando che i nostri scienziati, prima o poi ci diano la possibilità di essere tutti belli, tutti sani, tutti forti, tutti intelligenti e che ci facciano vivere sempre di più e sempre meglio.
Da parte di chi sostiene la tesi del non intervento sugli embrioni umani oltre a paventare il pericolo della creazione di fenomeni artificiali assoggettabili al volere ed al programma di chi opera l’intervento si prospetta anche un problema di carattere morale relativo alla sorte degli embrioni non utilizzati per la fecondazione o distrutti dalla sperimentazione. Ad avviso di costoro la distruzione degli embrioni è contrario al precetto “non uccidere” è contrario al precetto che sancisce l’inviolabilità della vita umana. Questa tesi è sostenuta, molto autorevolmente, anche nell’Enciclica del Papa Giovanni Paolo 2^, l’Evangelium Vitae, nella quale si legge che la valutazione morale dell’aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in se legittimi, ne comportano inevitabilmente l’uccisione. Il presupposto di questa asserzione è che l’embrione umano sia già una vita. Su questo punto non possiamo che dare opinioni personali. A mio avviso può parlarsi di vita quando vi sono quanto meno sensazioni, non dico sentimenti. Le elementari sensazioni di dolore, di godimento, di paura che già il feto possiede non li possiede l’embrione. Non può considerarsi essere vivente l’embrione solo perchè possiede in nuce tutti gli elementi che formeranno l’essere umano. Si potrebbe obiettare, in tal caso, perchè considerare vita solo l’embrione che possiede tutti gli elementi che formeranno l’essere umano e non anche lo spermatozoo che possiede solo alcuni di questi elementi. Così disquisendo potremmo avanzare tesi e controtesi che ci porterebbero ad una sterile esercitazione teorica ma non risolveremmo il problema. Come ho già detto, a mio avviso, è opportuno affidare agli scienziati l’onere di queste scelte, lasciare che siano loro, in piena autonomia, a stabilire i limiti della ricerca. Il progresso scientifico esige forse anche dei sacrifici; il confine tra esigenza scientifica ed arbitrio deve necessariamente essere valutato da chi opera quotidianamente e quotidianamente si trova di fronte a nuove verità, a nuove possibilità.
Se è giusto pensare che il precetto morale sia universale, sia insito nell’uomo, è anche giusto attribuire agli scienziati una componente morale nel loro lavoro. Volere imporre a costoro e quindi alla società per il bene della quale operano, limiti e divieti potrebbe significare privilegiare una morale imposta, calata dall’alto, rispetto ad una morale naturale, universale che ciascun uomo ha il diritto di ricercare e di scoprire. Significherebbe in sostanza imporre alla società di agire in base a dogmi e non in base a scelte proprie.
Qualsiasi dogma è ammissibile solo in campo teologico e solo in quanto il suo rispetto è imposto a coloro che aderiscono alla confessione che lo enuncia. Quando però si cerca di imporre il dogma nel campo scientifico o nel campo sociale si corre il rischio di cadere nel fondamentalismo, nell’integralismo e quindi nel disordine sociale che tali regimi comportano.
Ho voluto dare a questo necessariamente breve ed incompleto articolo un taglio non tecnico. Ho ritenuto opportuno esprimere il pensiero personale di un uomo che vive in questa società e che di questa società si ritiene parte integrante con tutti i diritti ed i doveri che ne derivano. Ho espresso una opinione e non un giudizio tecnico ritenendo che le opinioni si formano in tutte le coscienze attraverso la speculazione e l’osservazione dei fenomeni e degli eventi che ci circondano mentre i giudizi tecnici devono scaturire solo dallo studio di elementi scientifici per affrontare il quale occorre una profonda e completa preparazione specifica che io non possiedo.